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Kintsugi: l’arte della ceramica giapponese

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La parola kintsugi si scrive con i caratteri di “oro” e “aggiustare”, infatti, letteralmente, è possibile tradurre il termine con l’espressione “aggiustare con l’oro” o anche “toppa dorata”.  Kintsugi: l’arte della ceramica è molto conosciuta anche in occidente, ci sono addirittura artigiani che la riproducono anche in Italia.

Le origini del Kintsugi

L’arte del kintsugi è molto antica: le prime rudimentali tecniche di riparazione del vasellame giapponese risalgono al periodo Jomon (10.000 a.C. – 400 a.C.); tuttavia si inizia ad evolvere come vera e propria forma d’arte solo nel XV° secolo, durante il periodo Muromachi (1336 – 1573), come racconta la leggenda dello Shogun Ashikaga Toshimasa che, dopo la rottura della sua tazza da tè preferita, commissionò a degli artigiani di ripararla in modo che fosse ancora utilizzabile e degna della sua carica. Fu così che gli artigiani, utilizzando della lacca naturale mescolata con polvere d’oro, ottenerono il risultato sperato da Ashikaga.

Il successo di questa nuova forma di artigianato prese piede molto in fretta tra le corti e i collezionisti dell’epoca: numerosi furono, infatti, i casi di porcellane rotte volontariamente per fare in modo che venissero riparate tramite la tecnica del kintsugi, alzandone il valore economico e artistico, in quanto ogni oggetto riparato con questa particolare tecnica diventa un pezzo d’arte unico nel suo genere: non sarà mai possibile, difatti, rompere due pezzi di un determinato oggetto, in maniera identica.

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Esempio di scodella aggiustata con la tecnica kintsugi

Le tecniche di lavorazione del Kintsugi

Si possono riassumere le tecniche di lavorazione del kintsugi in tre particolari categorie:

  • Hibi, ovvero “crepa”, la tecnica di lavorazione più semplice in quanto si limita a riparare le semplici crepe;
  • Kake no kintsugi rei, cioè “esempio di riparazione dorata del pezzo mancante”, in cui si crea su misura, interamente con lacca e ore, il pezzo mancante;
  • Yobitsugi, ovvero “invito ad aggiustare/unirsi”, dove si utilizza un pezzo proveniente da un’altra porcellana molto simile.

La tecnica tradizionale del kintsugi è assai complessa e difficilmente riproducibile, soprattutto perché, al giorno d’oggi, è quasi impossibile reperire la lacca urushi, il tipo di lacca utilizzato esclusivamente per il kintsugi, fuori dal Giappone. Tuttavia, grazie alla moderna tecnologa delle resine sintetiche, è possibile eseguire riparazioni di ceramiche in stile kintsugi con materiali all’avanguardia che, tra l’altro, hanno il pregio di essere più forti e longevi della lacca urushi.

Inoltre, è possibile sostituire i materiali d’oro e d’argento con dei pigmenti metallici, in modo da rendere il procedimento di riparazione della ceramica ancora più conveniente dal punto di vista economico, senza compromettere il risultato finale, che comunque non sarà molto diverso.

La tecnica moderna della riparazione della ceramica in stile kintsugi prevede questi passaggi:

  • Assemblare i frammenti rispettando la disposizione originaria;
  • Mettere una piccola quantità di metallo in polvere all’interno di un contenitore usa e getta;
  • Aggiungere una quantità di colla epossidica bicomponente pari a tre volte la quantità di polvere metallica utilizzata;
  • Mescolare la colla e la polvere d’oro fino ad ottenere una pasta adesiva dorata;
  • Spalmare una quantità sufficiente e omogenea di pasta adesiva dorata sul bordo del frammento;
  • Attaccare il secondo frammento al primo e tenerli uniti fino a che non sono perfettamente incollati. È importante NON rimuovere la colla dorata che fuoriesce dalla giuntura;
  • Ripetere l’operazione con tutti gli altri frammenti di ceramica da riparare.

Il significato del Kintsugi

Il fascino di questa tecnica di riparazione va oltre la bellezza del materiale prezioso utilizzato, sia esso oro, argento o platino. Il kintsugi ha infatti una forte valenza filosofica, sia per gli artigiani che eseguono la riparazione, sia per chi assiste al processo o riceve l’oggetto riparato.

Riparare è infatti, una forma di terapia psicologica molto potente, poiché si tende a trasferire un possibile evento negativo della propria vita sull’oggetto rotto; proprio per questo il kintsugi è spesso associato alla resilienza, la capacità di rialzarsi sempre dopo una caduta.

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Riparare l’anima?

Il significato del kintsugi è proprio l’aspetto del non nascondere le proprie ferite spirituali, né tantomeno, vergognarsene, perché se queste ultime vengono riparate nel modo corretto, cioè superando il trauma che hanno causato e imparando da esso, diventeranno come medaglie, trofei che celebrano la battaglia che si è vinto contro se stessi. Riparare le proprie ferite diventa, quindi, una sorta di personale arte del kintsugi, una splendente cicatrice dorata chiusa a regola d’arte.

La concezione Wabi-sabi del Kintsugi

La visione del buddhismo zen chiamata wabi-sabi affonda i propri principi proprio nell’arte del kintsugi: esaltare la bellezza dell’imperfezione e dell’effimero. Nonostante l’ineluttabilità di tutte le cose vi è una bellezza profonda nell’impermanenza degli oggetti, nel fatto che non rimarranno così come sono per sempre.

Il kintsugi può quindi essere definito l’arte giapponese dell’accettare il danno: non si può infatti cancellare ciò che è stato, ma si può invece raccogliere i cocci e riparare l’oggetto in modo ancora più bello di ciò che era; ma ciò sarebbe impossibile se prima non si accettasse ciò che è stato in passato.

FONTI per Kintsugi: l’arte della ceramica

Meditazione Zen, Kintsugi: la filosofia giapponese che ci insegna la resilienza, di Marco Ossola
Antichità Belsito, Kintsugi: l’arte della ceramica giapponese per riparare
Life and People Magazine, Kintsugi: l’unicità del bello, di Aurora Castro

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