
Underdog è la storia di tre pugili, un professionista dal passato glorioso, un giovane dal futuro glorioso, un comico in crisi d’identità che si mette alla prova in un campo non suo. Rispettivamente Akira Suenaga (Mirai Moriyama), Ryuta Omura (Takumi Kitamura) e Shun Miyagi (Ryo Katsuji). Ognuno di loro ci sorprenderà; camminando con loro lungo il percorso tortuoso della vita avremo conferma di quanto sia difficile, e di come l’unica cosa da fare sia lottare pur sapendo che probabilmente l’esito sarà negativo.
Ma le storie che contornano i protagonisti sono altrettanto importanti, e danno un senso alle azioni dei tre. Padri e mogli, colleghi e clienti, ognuno cerca di dare una direzione al destino dei tre, incoraggiandoli nella carriera, scoraggiandoli o semplicemente indifferenti perché indaffarati nelle loro vite, che però si intrecciano con risultati diversi sulle storie personali.

La visione della vita
Un film dove il ritmo è dettato dai pugni (sul ring e fuori) e dal sesso (fatto da soli, a pagamento, per amore e per disperazione). Il rapporto tra gli uomini è basato sulle mangiate e sugli scontri fisici, che siano con pugni, randelli o coltelli. Il rapporto tra uomini e donne è strutturato intorno agli incontri sessuali, a volte insoddisfacenti, altre confortanti. C’è un parallelismo tra incontri di lotta e incontri sessuali, solo nei finali della prima e della seconda parte la lotta prevale.
Le donne vengono viste come oggetti sessuali? Sì, in fondo molte delle donne nel film sono escort e, per scelta o per forza, lo sono. Hanno un ruolo subalterno al maschio? No, perché anche il maschio è visto come carne da macello. E’ l’essere umano in sé, maschio o femmina, adulto o bambino, ad essere oggetto di violenza, fisica e psicologica, continua.
Il regista Masaharu Take ha le idee chiare sul messaggio che vuole trasmettere, e ha i mezzi per farcelo arrivare. Un messaggio complesso, anzi una serie di messaggi intrecciati e a volte contrastanti. Nel cinema di oggi è una rarità avere una tale ricchezza di contenuti, e una simile capacità di spiegarli è ancora più rara.
E’ un film lungo, ma scorre via grazie all’ottimo ritmo e soprattutto al coinvolgimento degli spettatori. Difficile guardarlo senza sorridere e piangere, arrabbiarsi e impietosirsi. Sono veramente tante le emozioni che questo film suscita, ed è qui la sua forza. Vero che la lunghezza della pellicola è notevole, quasi cinque ore, ma è anche vero che sono necessarie all’approfondimento dei personaggi, tutti credibilissimi. Anzi, verrebbe la voglia di vederne un altro paio di ore per capire cosa succederà ad alcuni dei personaggi che dopo alcune scene se ne vanno per la loro strada.

Da vedere?
Se prima di iniziare pensate di non voler investire cinque ore della vostra vita in un film, ripensateci. Molto meglio vedere questo anziché buttar via quel tempo in altre pellicole, e forse vi resterà la voglia di rivederlo prima di quanto pensiate. Perché i personaggi sono così veri, così umani, che vi mancheranno sin dall’uscita dai cinema (o dallo spegnimento della TV). Un’altra perla del Far East Film Festival che difficilmente avrà un grande mercato, ma sono queste perle a rendere il FEFF uno dei migliori festival del cinema in Italia se non in Europa.
[…] By Silvio Franceschinelli Cinema Luglio 11, 2021 […]
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