
Natsume Soseki fu uno degli scrittori più innovativi e famosi della modernità giapponese e le sue opere hanno influenzato innumerevoli lettori dall’inizio del Novecento ad oggi, esercitando una discreta influenza anche nella cultura contemporanea. Andiamo ora a vedere alcuni elementi della vita di Natsume Soseki e Il cuore delle cose, una delle sue opere, per scoprire qualcosa di più su questo incredibile scrittore!

la vita
Natsume Soseki (夏目漱石), che si chiamava in realtà Natsume Kinnosuke (夏目金 之助), nacque a Tokyo nel 1867, proprio sul finire del periodo Edo, in una famiglia assai numerosa. Era infatti l’ultimo di ben otto figli. I suoi genitori lo affidarono presto alle cure di una nutrice, per poi affidarlo ad una famiglia adottiva, che lo avrebbe tenuto con sé fino all’età di nove anni, quando ritornò finalmente nella sua famiglia d’origine; questo tipo di vicenda personale, per quanto non fosse un caso unico nel Giappone dell’epoca, ebbe sicuramente un’influenza sulla formazione della sua complessa personalità.
Le sue scelte universitarie (egli era appassionato di letteratura europea) non vennero accolte di buon grado nella sua famiglia, ma riuscì comunque a conseguire una laurea in letteratura inglese nel 1893, presso l’Università Imperiale di Tokyo (che prese poi l’attuale nome di Università di Tokyo o Tokyo Daigaku 東京大学). Iniziò quindi a insegnare presso delle scuole superiori di provincia fino a quando il Ministero dell’Istruzione non lo mandò a Londra con una borsa di studio, che gli valse un soggiorno che durò dal 1900 al 1903. Anche questo passaggio della sua vita fu alquanto importante, poiché gli fece provare in prima persona il benessere della società occidentale, cosa che lo indusse a sviluppare un atteggiamento molto critico nei confronti di sé stesso in quanto giapponese, interiorizzando il razzismo dilagante nella società euroamericana.
il ritorno in giappone
Al suo ritorno in patria gli venne offerta presso la sua alma mater la cattedra di insegnante di inglese, che accettò. Fu in questo periodo che iniziò la sua carriera letteraria vera e propria (in passato si era dedicato alla scrittura di poesie, ma era poco conosciuto). Pubblicò il suo primo lavoro di narrativa, Wagahai wa neko dearu (我が 輩は猫である, Io sono un gatto), nel 1905, che gli valse, assieme alla sua seconda opera, Bocchan (坊ちゃん, Il signorino), una discreta fama.
Lasciò poco dopo la sua professione di docente universitario per dedicarsi in maniera esclusiva alla letteratura e, dopo aver dato alla luce alcune opere sia letterarie sia di critica, scrisse la sua prima trilogia: Sanshiro (三四郎) del 1908, Sorekara (それから, E poi), del 1909 e Mon (門, Il cancello), del 1910. A causa di problemi di salute si prese una pausa dalla scena letteraria, fino a quando non cominciò la sua seconda trilogia, così composta: Higan sugi made (彼岸過迄, Dopo l’equinozio) e Kojin (行人, Viandanti), del 1912 e Kokoro (心, Il cuore delle cose), del 1914. Per quanto abbia poi continuato la sua attività di scrittore, essa fu spesso e volentieri interrotta da delle crisi psicologiche, che gli impedivano di lavorare adeguatamente. Nel 1916 morì, lasciando il suo ultimo lavoro, Meian (明暗, Luce e ombra), incompiuto.
kokoro (il cuore delle cose)

la trama
“Kokoro” è sicuramente uno dei romanzi più famosi dell’autore. In quest’opera egli narra le vicende di un giovane, nella storia chiamato Watashi (私), cioè “Io”, e del suo professore, nella storia chiamato appunto Sensei (先生), che significa “Professore”. Per quanto possa sembrare che sia lo studente sia il protagonista del racconto, in quanto fa da narratore per le prime due parti, si scopre che in realtà è la vicenda personale del professore che ha la maggiore importanza.
Il romanzo viene presentato come diviso in due storie: la prima storia è quella che comprende la prima e la seconda parte, raccontando la vicenda di Watashi e Sensei, il loro incontro e i loro trascorsi, fino ad arrivare alla giunta notizia della malattia del padre di Watashi, che, come tutti gli altri personaggi (con una sola eccezione) non viene mai presentato con il suo nome, ma solo con l’appellativo di “Padre”.
A questo punto Watashi deve partire poiché, come voleva la morale dell’epoca, era necessario che passasse il tempo accanto al genitore negli ultimi giorni di vita. Durante il suo soggiorno presso il villaggio natale, Watashi riceve una lettera da parte di Sensei, che si rivela essere una lettera-testamento. Stando alla lettera, Sensei era intenzionato a suicidarsi a causa dei sensi di colpa riguardanti alcuni eventi del passato in cui lui era coinvolto è nei quali aveva causato grandi sofferenze a un amico, che si sarebbe poi tolto la vita. La lettera-testamento, letta da Watashi durante il viaggio in treno per tornare da Sensei in un disperato tentativo di rivederlo prima del compimento del gesto estremo, costituisce l’intero corpo della seconda storia, che è anche la storia principale del romanzo.
i temi
L’opera si presenta quindi come un inno all’individualismo sosekiano, che non è però da intendersi come un puro e semplice egocentrismo volto ad ignorare il bene del prossimo a proprio vantaggio, ma come una ferma volontà alla realizzazione di sé stessi, un impegno a portare avanti le proprie aspirazioni e i propri desideri. Ce ne dà un esempio Watashi, il quale abbandona il padre morente, ignorando le convenzioni sociali che lo avrebbero voluto al suo fianco negli ultimi momenti, per raggiungere Sensei nella speranza di incontrarlo prima del suo suicidio. Purtroppo però, come spesso accade nei romanzi di Soseki, questa espressione così audace di individualismo porta a null’altro che la solitudine, tratto tipico, secondo l’autore, della società moderna.
Un ultimo elemento interessante e che vale la pena analizzare è quello del suicidio di Sensei. Il gesto è stato infatti spesso paragonato a un altro, analogo, compiuto dal generale Nogi e dalla moglie, che dopo il decesso dell’Imperatore Meiji commisero Seppuku (切腹), seguendo la tradizione di matrice samuraica, così da seguire il proprio signore anche nella morte, azione che fu molto criticata in occidente, ma che nel contesto giapponese trasformò il generale in un eroe in quanto figura che incarnava i valori della tradizione. Ebbene, anche i valori di Sensei sono quelli affini al cosiddetto “Spirito del Meiji” ed egli deve affrontare, nel corso della narrazione, il loro sfaldamento. Il suo travagliato percorso emotivo e il suo suicidio sono quindi elementi altamente simbolici, che rappresentano il declino e la fine di un’era.

Aneddoto: Akutagawa Ryunosuke, autore giapponese tradotto in tutto il mondo, è stato reso celebre anche grazie a Natsume Soseki che ne ha scritto una lusinghiera recensione.
fonti per Natsume Soseki e Il cuore delle cose
L. Bienati, P. Scrolavezza, La narrativa giapponese moderna e contemporanea, Marsilio, Venezia 2009.
[…] I primi racconti dell’autore, che evocano il passato e la cultura Edo, si inseriscono nella corrente del naturalismo e si avvicinano molto per tematiche a Nagai Kafu. Tuttavia, nel 1915, con Rashomon (opera che darà il titolo al famoso film di Akira Kurosawa) lo scrittore si distacca da questa corrente per intraprendere una strada completamente diversa: in una cornice lontana, con storie di un tempo passato, si insinuano temi moderni, come l’egoismo e la ferinità dell’essere umano. Scrittore in bilico “tra tradizione e modernità”, Akutagawa dipinge un quadro perfetto sulle debolezze umane e già nelle prime opere si possono distinguere chiaramente le tematiche della produzione matura, quella più cupa e allucinante, che sembra però fornirci una descrizione lucida della realtà vissuta dallo scrittore. Se Rashomon, non riceve una grande reazione da parte dei critici, Hana (Naso, 1916), lo consacra come scrittore acclamato dalla critica e dal pubblico, che lo conosce grazie ad una recensione lusinghiera scritta da Natsume Soseki. […]
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