
Abbiamo iniziato a parlare dei prigionieri tedeschi in Giappone durante la Prima Guerra Mondiale nella prima parte di questo articolo.
Al tempo del primo conflitto mondiale le regole per il trattamento dei prigionieri di Guerra erano stabilite dalla Convenzione dell’Aja (1907), firmata dal Giappone il 13 gennaio 1912. Tra l’altro la Convenzione stabiliva che il prigioniero “deve essere trattato umanamente”. Il Giappone, desideroso di mettersi al livello delle Grandi Potenze occidentali anche su questo campo, verso i prigionieri tedeschi applicò in modo scrupoloso questo concetto: nei campi non ci furono abusi o lavori forzati.
Basti pensare che l’incidente più grave avvenne il 15 novembre 1915 e coinvolse Masaki Jinzaburo, il comandante del campo di Kurume, nella prefettura di Fukuoka. Per celebrare l’incoronazione del nuovo Imperatore Taisho, ad ogni prigioniero venne data una bottiglia di birra ed una mela. Quando due ufficiali rifiutarono i doni, adducendo che i due Paesi erano in guerra, Masaki li colpì sulla guancia. I prigionieri del campo protestarono vigorosamente per questa infrazione della convenzione dell’Aja; domandarono la visita dell’ambasciata degli ancora neutrali Stati Uniti.
L’incidente si gonfiò e Masaki venne destituito. Comunque, incidenti come questi erano rari e anche meno gravi. Se si eccettua qualche minore incidente tra le guardie e i prigionieri, non ci fu niente che potesse essere descritto come abuso.
Non erano rari i contatti amichevoli tra i prigionieri e ufficiali giapponesi. Il tenente Yamamoto Shigeru, per esempio, che aveva frequentato l’accademia militare in Germania, parlava fluentemente il tedesco. Yamamoto scambiò lezioni di tedesco in cambio di lezioni di giapponese con un prigioniero del campo di Kurume.

Una prigionia soft
Tra gli articoli della Convenzione dell’Aja, ce ne erano alcuni che, ai giorni nostri, forse fanno sorridere: l’articolo 10, per esempio, obbligava a rilasciare i prigionieri che avessero sottoscritto un documento in cui promettevano di non ritornare a prestare servizio nel loro esercito di provenienza. Proprio grazie a quest’articolo, vari prigionieri tedeschi vennero rilasciati
Per i prigionieri tedeschi detenuti in Giappone, come applicazione dell’articolo 16, vigeva il libero scambio di corrispondenza: potevano scrivere e ricevere lettere dai loro parenti in Germania. Era ammessa anche la corrispondenza fra i campi di detenzione. Agli ufficiali era permesso scrivere cinque missive al mese mentre i soldati di rango più basso ne avevano a disposizione due o tre. La corrispondenza con la madrepatria fu molto intensa e queste lettere sono adesso in possesso di vari collezionisti.
Naturalmente anche i prigionieri di guerra avevano diritto alla paga che poi utilizzavano per acquistare prodotti alimentari o altri oggetti. A seconda del grado militare, lo stipendio andava dai 183 yen mensili, ai 30 centesimi per i soldati di rango più basso. Una paga, nel complesso, buona, se si tiene conto che un dipendente nipponico guadagnava, in media, 40 yen al mese.
Per i prigionieri c’era anche il lavoro, naturalmente, ma al contrario di come si potrebbe pensare, non era lavoro forzato. Era un lavoro regolarmente retribuito che si svolgeva all’esterno dei campi: lavoro in fattorie, nella produzione di pane, di salsicce, installazione di caldaie, ecc. Molto spesso erano lavori che richiedevano una certa abilità. Per molti era anche una buona occasione per uscire dal campo e osservare il mondo esterno. Dopo la guerra alcuni prigionieri continuarono a lavorare con un ottimo stipendio: 300 yen al mese.
Gli unici obblighi imposti ai prigionieri dei vari campi di detenzione erano quelli di rispondere agli appelli del mattino e della sera; il resto del tempo erano liberi di fare quello che volevano. Per chi non lavorava all’esterno, il nemico più grande, in questi anni di prigionia, era la noia. Per combattere l’ozio, i prigionieri organizzarono tutta una serie di attività che andavano dalle gare sportiva alle rappresentazioni teatrali, dai concerti alle conferenze.

Il campo di prigionia di Bando
Tra i campi di detenzione, quello di Bando, a Naruto nella prefettura di Tokushima, conobbe una certa popolarità: a Bando la situazione era ancora più gradevole, per i prigionieri, quasi idilliaca. Il comandante di quel campo era Matsue Toyohisa, discendente dei samurai dell’Aizu. Durante la guerra di Boshin (1868), la sua famiglia si schierò dalla parte dello shogunato Tokugawa, contro l’Imperatore Meiji. Lo shogunato venne sconfitto e così anche la famiglia Toyohisa. Matsue Toyohisa, appartenente ad una famiglia sconfitta, finì con il solidarizzare con i tedeschi sconfitti.
Secondo Masashi Nakano, del museo dedicato al Campo di Bando, Matsue era solito dire che sia i tedeschi che i giapponesi combattevano per il proprio paese, e non contro qualcuno; aveva grande rispetto per i nemici e ordinò la migliore ospitalità per i prigionieri, anche contro il volere di Tokyo che criticò la sua troppa clemenza.
Nel campo, quindi, i prigionieri godettero di una particolare libertà: potevano anche partecipare ad escursioni e a gite in barca. I prigionieri formarono un’orchestra e, tra il 1917 e il 1920, tennero un centinaio di concerti. Il 1 giugno 1918 l’orchestra tedesca di Bando suonò, per la prima volta in Giappone, la Nona Sinfonia di Beethoven. Questo evento viene tuttora commemorato con un concerto che si tiene la prima domenica di giugno a Naruto.
Circa 1000 erano i prigionieri del campo Bando; anche rapportata agli altri campi in Giappone, la loro permanenza fu particolarmente felice, se si può utilizzare questo termine in relazione ad una situazione di cattività. Nel campo si svolgevano partite di calcio, concerti e picnic. I prigionieri, con l’autorizzazione delle autorità giapponesi, avevano ricreato, a Bando, un angolo di Germania, con tanto di cibo tradizionale tedesco, bar in stile europeo e lezioni di filosofia e letteratura. Nel tempo libero giocavano a bowling e a biliardo, facevano gite in barca, assistevano e allestivano opere teatrali, cucinavano biscotti e, addirittura, si immergevano in un bagno termale.
Ai prigionieri era permesso mettere in piedi attività commerciali e molti ripresero in mano il mestiere che svolgevano prima della guerra: artigiani, calzolai, fotografi, insegnanti, ecc. In queste condizioni particolarmente liberali, solo un prigioniero tentò la fuga.
Un legame di amicizia si sviluppò tra i prigionieri e gli abitanti del villaggio di Naruto.
I tedeschi, in cambio per questa condizione idilliaca, insegnarono ai residenti locali come produrre latte, preparare il pane, costruire case in stile occidentale e ponti in pietra.
I Doitsu-san (Mr Germania), come erano chiamati i prigionieri dagli abitanti locali, inizialmente fecero un po’ di spavento, con la loro fisionomia – alti, biondi, occhi chiari – così diversa da quella dei giapponesi. Poi, tra di loro, nacque una simpatia e un’amicizia, riscontrabili ancora oggi a chi si trova nella città di Naruto.
Fonti :
Taipei Times: Japanese POW camp was a little slice of home
Nippon.com: A Forgotten Tale of World War I: Life for German POWs in Japanese Camps